DIPENDENTE CON 104 PUÒ ESSERE TRASFERITO?

DIPENDENTE CON 104 PUÒ ESSERE TRASFERITO?

DIPENDENTE CON 104 PUÒ ESSERE TRASFERITO?

L’Azienda non può trasferire i Dipendenti che hanno diritto ai permessi della legge 104. Questa è una regola generale che serve a tutelare i soggetti svantaggiati con handicap, i quali hanno diritto a scegliere la sede lavorativa più vicina al loro domicilio o al luogo dove si recano per le cure mediche. Per questa ragione la legge 104/1992 pone precisi limiti alla possibilità del Datore di Lavoro di trasferire i Dipendenti disabili, e non importa se l’handicap sia grave o lieve.

La Corte di Cassazione ha affermato che il Dipendente con 104 che rifiuta il trasferimento non può essere licenziato.

I Dipendenti a cui si estende la legge 104/1992 hanno diritto ad una serie di agevolazioni per provvedere alle cure mediche necessarie per sé o per assistere parenti disabili.

Dunque per rispondere alla domanda di cui sopra, chi ha la 104 non può essere trasferito unilateralmente dall’azienda, a meno che non accetti espressamente.

Handicap grave e non grave: il trasferimento è sempre vietato?

La Corte di Cassazione (sentenza n. 25379/2016) ha precisato che il trasferimento è vietato a prescindere dalla gravità dell’handicap che ha fatto nascere il diritto alla 104. Significa che il datore non può trasferire di sede i Dipendenti con handicap lieve, grave e nemmeno i familiari che li assistono.

La distinzione tra “portatore di handicap in situazione di gravità” e “portatore di handicap” non grave, come si è detto poc’anzi, in merito al trasferimento di Sede Aziendale non ha alcuna rilevanza.

Trasferimento con 104: l’unico caso in cui è possibile

Esiste un caso in cui un Datore di lavoro può trasferire il Dipendente con 104 in un’altra sede: quando sussistono “esigenze aziendali effettive ed urgenti“. Spetta all’Azienda provare in giudizio che il trasferimento del Dipendente non può in alcun modo essere evitato e che è fondamentale per soddisfare le esigenze produttive aziendali. Questo è l’unica eccezione riconosciuta dalla Suprema Corte di Cassazione.

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